Il cervello umano è paragonabile ad un circuito elettrico. Per elaborare più informazioni complesse contemporaneamente ha bisogno di semplificare. Inserisce i dati raccolti in cassetti-categorie per poterli all’occorenza recuperare con facilità.
Con queste quindici foto mi sono divertita a cercare di scompigliare il mazzo di carte a disposizione del cervello proponendogli nuovi giochi.
Per tentare l’impresa, nel proporre le foto ho utilizzato tre stratagemmi:
● ho invertito il sopra con il sotto
● ho alterato i colori naturali
● ho scelto come soggetto luoghi già di per sé estranianti, ossia luoghi abbandonati
● ho inframmezzato – per continuare a confondere la visione dell’osservatore senza lasciargli la possibilità di ritrovare un modello unico – alcune foto nella posizione originale.









Perché foto ribaltate?
Ho ribaltato l’immagine originaria dell’inquadratura in modo tale da creare una sorta di black-out momentaneo del cervello dell’osservatore e abbattere, per qualche secondo, i suoi meccanismi di programmazione.
Al momento dello scatto della foto, sono andata alla ricerca di quegli elementi che, una volta capovolti, potessero ricreare una nuova, per quanto inusuale, realtà fotografica, nata da una diversa e istantanea lettura che il nostro cervello è automaticamente portato ad operare per recuperare la categoria nota del sopra e del sotto.
N’è esempio più evidente la fotografia capovolta del campanello: dalla maggioranza degli osservatori è stata riconosciuta come un contenitore addossato al muro. (Indifferentemente: un pisciatoio maschile, un’acquasantiera, un piccolo lavandino ecc…).
Quando quindi accade che la visione dell’immagine rovesciata immediatamente “costringa” ad una nuova personale lettura, posso allora affermare che la foto sia riuscita e di aver raggiunto l’obiettivo.





Perché questi colori?
In fase di postproduzione, ho saturato alcuni colori e desaturato altri allo scopo di dar vita ad un’atmosfera ancor più surreale e alterata sempre per proporre all’osservatore un’immagine della realtà, anche dal punto di vista del colore, non nota e usuale. Lo scopo è anche quello di rendere meno riconoscibile la natura del luogo, suscitando dubbi e curiosità.
Perché luoghi abbandonati?
Ho scelto i luoghi abbandonati – principalmente interni – perché capaci di indurre in chi li guarda una personale rielaborazione. Ciò si verifica sia a monte per il fotografo, sia a valle per chi osserverà il prodotto fotografico.
Il luoghi abbandonati hanno una loro intrinseca caratteristica che è quella di poter essere interpretati.
Solitamente, più il luogo è ricco di dettagli e oggetti più facilmente lo riconosciamo. Automaticamente lo cataloghiamo in quei cassetti-categorie che contengono ciò che ormai diamo per scontato e non mettiamo più in discussione.
Al contrario, gli ambienti abbandonati sono meno riconoscibili semplicemente perchè, essendo spesso vuoti in disordine crollati e con travi in posizioni inedite, il cervello nel leggerli è come se perdesse i vecchi punti cardinali che gli permettono di orientarsi velocemente. Per qualche istante esso vi vaga smarrito.
Ogni urbex immortala del luogo abbandonato ciò che più lo colpisce. C’è chi si concentra sull’atmosfera inquietante, chi documenta sugli oggetti rimasti, chi coglie le geometrie e chi i colori.
Personalmente mi sono concentrata sulle prospettive e sui colori. Reinventandoli.
By IlSaltaFango


